martedì 9 dicembre 2008

1988 - Di vita in morte di un parcheggio

Questa notte tira una brezza niente male, ma non è vento, e le foglie secche cadono dai rami con fare molto autunnale. Gialle e avvizzite. Luride e malconce. Sono alla piazza del paese, seduto su una delle panchine ambite da giovinastri e non. Un luogo squallido, un parcheggio, che ogni giorno ne vede tante ed ogni giorno vede le stesse. Accendo una sigaretta, con calma, inclinando la testa di lato come nei film western di ant'anni fa. Dunque, solitamente il posto presenta quattro gatti, ma ora non ci sta nessuno nei paraggi. In effetti, è notte fonda, forse dormono. Uno di loro dorme della grossa, è in coma. Non so se andare a trovarlo o no.
Ogni benedetta estate l'ho passata su queste maledette panchine, negli ultimi quattro anni, tra discussioni e asserzioni riguardo merda, sborra, cazzo, donne che passano e non ce n'è uno che abbia la decenza di non commentare, e documenti consegnati agli sbirri e quant'altro. Per fortuna l'estate è finita. Cominciavo ad odiarlo, questo posto. A osservarlo adesso, senza anima viva, sembra già un poco più affascinante, circondato da una melensa nebbia malinconica. Esprime tutto il dissapore per una mediocre e bistrattata esistenza, e mi mette a disagio. Le macchie di piscia sui muri che non vanno più via. Il bidone della spazzatura che non viene svuotato neanche a pagare. Il mucchio di spazzatura ai piedi del bidone. Le due panchine che perdono i pezzi e si frantumano come briciole di pane. Nel gelido torpore notturno si bloccano, come se il tempo si fermasse in un istante denso di abbandono. Ma la piazza sa di illudersi, e il tempo scorre soprattutto per lei.
Ho fumato metà sigaretta, pensando che tutto ciò mi ispira qualcosa di indefinito che prima o poi scriverò.
Ho finito la sigaretta pensando a quanto adoro l'espressionismo ed alla mia auto nuova.

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