sabato 28 aprile 2007

La CaVeRnA dI pIeTrO

Capitolo quarto - Andata e poi ritorno

Si incamminò nuovamente lungo il sentiero, questa volta di ritorno al villaggio, seccato per la mancanza di tabacco e pipa da fumare.
Il fango aveva invaso il sentiero, ad ogni passo correva il rischio di scivolare giù per il bosco montano. Non ci volle molto tempo per intravedere i primi tetti e i primi fumi dei comignoli; l’ora era comunque tarda, il sole si preparava a cedere il passo alla luna. Si sentiva una gran varietà di fragranze diverse per le strade del piccolo villaggio, tutti quanti erano alle loro case pronti a cenare dopo un pomeriggio di duro lavoro. Pietro camminò a casaccio, e i suoi piedi lo portarono dritto alla locanda. - Numi del gran paradiso! – Non aveva mai visto la locanda così ben tenuta; le mura erano state verniciate da poco tempo, quella dannata finestra che sbatteva sempre ad ogni folata di vento era stata sostituita, ma soprattutto: sembrava non esser mai stata lambita dalle fiamme. Fece per entrarvi, ma la porta era chiusa. – L’oste sarà andato a casa a far cena. – pensò. Non riusciva però a spiegarsi come mai la locanda fosse intatta dopo l’incidente di quella mattina. Non potevano averla ricostruita in così poco tempo, escludendo un miracolo, non c’era spiegazione plausibile. Si diresse verso la sua capanna, non molto distante dalla locanda, confuso e stanco. Dopo aver parlato con un orso e con un panda, sogni o no, non rimase più di tanto stupito alla vista dell’edificio. Mentre tali pensieri passeggiavano nella sua mente, si ricordò delle due statuette di legno intagliato. Volle verificare se era diventato matto oppure no, anche se le aveva controllate ai piedi dell’enorme pino. Aprì la sacca e le trovò entrambe, una in legno e una in bambù, proprio come nei due sogni. Quando arrivò alla sua dolce dimora, rimase di sasso, fisso davanti a ciò che aveva la parvenza di una stalla. – Che fine ha fatto la mia capanna? Eppure l’indirizzo è il mio! – Si avvicinò cautamente alla stalla. Si sentivano due voci abbastanza profonde, molto familiari a Pietro. Una luce tremolante usciva dalle finestre, come se nella stanza fosse stato acceso un fuoco. Ascoltando con attenzione si poteva sentire lo strepitare del legno che bruciava. Aprì la porta lentamente. - Numi del gran paradiso! – Agreste Panda e Leopoldo stavano seduti in terra accanto al fuoco, mangiando uno un rametto di bambù e l’altro un pezzo di carne secca. Lo salutarono calorosamente, ma lui, senza dar loro il tempo di avvicinarsi, scappò via verso il bosco. Corse per molto tempo, anche se sentiva la stanchezza far preda delle sue gambe. Il bosco era ora immerso nell’oscurità, non si vedeva ad un palmo dal naso. Dannata radice. Pietro inciampò cadendo con un gran tonfo a terra, sbatté la testa su di una pietra e svenne.

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Drrrrrrin – Drrrrrrrrrrrrrrrrin La sveglia. Sei e trenta del mattino. Fabrizio sembrava turbato da quel fastidioso aggeggio che si era messo a suonare l’unica mattina in cui poteva dormire fino a tardi. Un bel pugno ben assestato e la sveglia si interruppe. Fece per riaddormentarsi, quando notò qualcosa sulla scrivania. Assonnato, si alzò per vedere cos’era. Due statuette, intagliate a regola d’arte, una raffigurante un orso, l’altra un panda. Ed insieme a queste, una storia agreste senza senso con tanto di dedica: “A mon frere Fabrizio, l’omo d’la montagna”

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