sabato 28 aprile 2007

La CaVeRnA dI pIeTrO

Capitolo terzo - ’l pian d’l pin

Dopo un’ora circa di marcia, gli alberi lasciarono lo spazio ad una radura decisamente pianeggiante per essere in montagna. Al centro di essa si ergeva un pino enorme, con un tronco larghissimo, nel quale erano stati incavati dei gradini. Salì i gradini e raggiunse un punto dell’albero in cui il tronco sembrava tagliato, a circa dieci metri di altezza. I rami nascevano ai lati di questo spazio piano, largo e lungo più o meno otto metri, e si chiudevano verso la punta, formando un tetto conoidale altissimo. Al centro della “stanza”, appoggiato in terra, vide un pezzetto di legno con una forma strana. Lo raccolse e strabuzzò gli occhi quando vide che era un pezzo di bambù con la forma di un panda.
Gli venne fame, così scese e andò in cerca di qualche piccolo animale da cacciare. Tirò fuori il coltellino tascabile e dopo un’ora tornò con una lepre. Risalì sull’albero e rimase di stucco quando vide che ora era arredato. Due letti ad un lato della stanza erano separati da un paio di comodini finemente intagliati. Un letto era di misura normale, l’altro il doppio. Al lato opposto c’era una cassa che conteneva tanti bastoncini di bambù, e al centro un tavolo, dello stesso stile dei comodini, con due sedie, una normale ed una enorme. Al centro del tavolo c’era un mucchietto di cenere contornato da delle pietre, come un focolare spento, e di fianco ad esso un paio di pietre focaie ed un acciarino. Studiò la “dimora” a lungo prima di accorgersi che i morsi della fame stavano diventando insopportabili. Si sedette sulla sedia piccola e cominciò a scuoiare la lepre e a pulirla per bene, non prima, però, di aver acceso un fuoco al centro del tavolo. Il sole stava calando e l’aria diveniva sempre più fredda. Quando ormai della lepre rimase solo la carne nuda e spellata, sentì dei passi pesanti ed un po’ goffi sulla scala, e subito sussultò alzandosi dalla sedia. Una figura bianca a macchie nere stava salendo lentamente le scale, fino a sbucare interamente nella stanza. - Numi del gran paradiso! Un panda! – esclamò Pietro, mentre i suoi occhi fissavano un cartellino legato al collo dell’animale. Sul cartellino, fatto di legno, c’era inciso “Agreste Panda”, probabilmente era il suo nome. Appena si accorse della presenza di Pietro, il panda rimase stupito quanto colui che gli stava di fronte, e lo fissò a lungo senza dire parola. – E tu chi sei? – esordì la bestia. – Mi chiamo Pietro, scusi se sono entrato in casa sua, ma aveva fame e fredd… - - Ora ricordo, sei l’amico di Leopoldo, vero? – lo interruppe il panda. – Leopoldo? Mi dispiace, non conosco nessuno con quel nome. – rispose Pietro alquanto confuso. – Ma si, dai, l’orso che vive nella caverna qui vicino! – disse l’animale. A questo punto, il suo livello di confusione raggiunse il tetto massimo: era stato un sogno o l’orso esisteva veramente? Ma, soprattutto, cosa fa un panda in un bosco di montagna, con la casa sopra un pino per giunta?!. Tutti i suoi pensieri furono interrotti dal nuovo arrivato – Io sono Agreste Panda, vivo qui da molti anni ormai, da quando ho conosciuto Leopoldo. Questo pino e suo, me lo affitta a basso prezzo perché siamo amici. Tu da dove vieni? – Nel porgere tali domande, il panda aveva preso un bastoncino di bambù dalla cassa e si era seduto nella sedia grossa, in attesa di risposta. Pietro chiuse gli occhi e li riaprì di colpo per vedere se era ancora sul pino con un panda o se stava sognando, si diede anche qualche pizzicotto, ma invano. – Sei un tipo di poche parole eh?! Siedi pure su quella sedia, fa come se fossi a casa tua. Gli amici di Leo sono anche miei amici. – Disse il panda, con la bocca piena e impastata di bambù. Non era molto alto, più o meno come Pietro, ma era, come dire, possente, molto ben in carne. Masticava sgarbatamente, con la bocca aperta che mostrava tutti e quanti gli stadi di triturazione di ciò che mangiava. Il suo respiro era pesante, a tratti tossiva perché il bambù gli andava di traverso. – Grazie. – rispose Pietro – Scusa, posso chiederti come mai un panda come te vive su di un pino qui in montagna? - - E’ una lunga storia…un paio di anni fa vivevo in Cina, la mia terra natale. Un giorno stavo banchettando tranquillo un po’ di canne, quando ecco che spuntano tre tipi stranissimi con una macchina blu di quelle lì che usate voi uomini. Non chiedermi come, ma nel giro di mezz’ora ero alla guida dell’auto che li accompagnavo a Monaco di Baviera per l’Oktober Fest! – prese fiato, deglutendo. – Non ti immagini neanche, un viaggio lunghissimo, sono stato via con quei tre per un anno e mezzo. Poi non sapevo come tornare in Cina, così un giorno, mentre vagavo per questi boschi, ho incontrato Leopoldo. E’ stato gentilissimo, mi ha accolto nella sua caverna e dopo un po’ di tempo mi ha trovato questa sistemazione. Non è male, non trovi? – concluse Agreste. –Numi del gran paradiso! – pensò Pietro, sperando che fosse tutto un sogno. Senza rispondere al panda, corse giù dalle scale e cosa trovo? La macchina blu che il panda aveva usato con quei tre. Poi si ricordò di come aveva scacciato l’orso del sogno, quindi tornò sopra e disse ad alta voce – Ma non ci sono panda che guidano, su queste montagne! –
Si svegliò di colpo, e vide che si era addormentato ai piedi del pino. La notte era passata ed il sole si preparava a sorgere a est; nessuna traccia dell’animale, dell’auto blu, della lepre o delle canne di bambù. Il pino non aveva nessuna stanza a dieci metri di altezza e non c’erano scalini sul suo tronco. Istintivamente, frugò nella sacca e ne estrasse un pezzo di legno: era il bambù intagliato a forma di panda.

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